
Un terremoto si sta abbattendo sul mondo dell'editoria e dei giornali. I primi segnali arrivano, come sempre in anticipo, dagli Stati Uniti, con le ultimissime notizie, davvero drammatiche, che parlano di bancarotta per il gruppo Tribune ( editore fra gli altri del Los Angeles Times e del Chicago Tribune) 161 anni dopo la sua fondazione. E di analoghi rischi per il New York Times, che controlla anche il Boston Globe oltre al prestigiosissimo International Herald Tribune. La crisi economica ha spinto il celebre New York Times a vendere il proprio quartier generale, realizzato da Renzo Piano, dove si era trasferito giusto tre anni fa. Per la cifra di 225 milioni di dollari, che gli consentiranno di avere maggiore liquidità, il giornale ha deciso di vendere 21 piani del suo edificio di Manhattan, con la clausola di poterli riacquistare con un contratto d’affitto di 15 anni dall’acquirente, la W.P. Carey & Co per 250 milioni di dollari. La crisi dunque non risparmia neanche le testate più solide e blasonate. Ma come negli Usa, anche in Italia, sebbene ancora sotto traccia, il grande terremoto si preannuncia non meno devastante. Per ora si colgono piccole scosse sotterranee, ma dal Corriere a Repubblica, dal Sole 24 Ore alla stessa Rai, sotto i piedi di manager e giornalisti, la terra comincia a tremare. Di segnali ve ne sono fin troppi: basta dare un'occhiata alle performance borsistiche del comparto editoriale negli ultimi dodici mesi. La giovanissima Cairo Editore guida questa sconcertante classifica negativa con meno 70, seguito a ruota da aziende di grande tradizione come Rcs Mediagroup (meno 66) e Poligrafici (meno 63). E, in sequenza, non manca nessuno, dal vecchio gruppo Espresso di Carlo De Benedetti (meno 57) al Sole 24 Ore di Emma Marcegaglia (meno 55). I problemi e i nodi irrisolti sono comuni: costi fuori controllo, dalla carta agli organici pletorici, scarsa produttività a fronte di superstipendi e benefit per manager , giornalisti ed inviati, ricavi tanto da edicola quanto da advertising crollati a causa della disaffezione dei lettori e della contrazione degli investimenti pubblicitari. Come si legge nel rapporto sulla stampa 2006-2008 della Federazione Italiana Editori Giornali, il Presidente Sarkozy, muovendo dalla convinzione che “una democrazia non può funzionare conuna stampa sull’orlo del precipizio economico”, ha accolto gran parte delle proposte emerse dagli “Stati generali dell’editoria” e varato un piano di intervento di 600 milioni di euro a sostegno dei giornali nell’arco del triennio 2009-2011. Fiscalità meno pesante nella fase distributiva, sostegno agli abbonamenti, congelamento dell’aumento delle tariffe postali, aumento delle spese pubblichedi comunicazione da destinare alla stampa, agevolazioni delle partecipazioni estere nel capitale di imprese editrici, abbonamenti gratuiti per i giovani, sono alcune delle principali misure decise dal governo francese per trasmettere impulsi accelerativi al settore. In Italia, la manovra finanziaria per il 2009 non prevede invece alcun intervento significativo in favore di un settore considerato in Francia “strategico” al pari dell’industria pesante, ma soltanto tagli ai trasferimenti di risorse, derivanti dalle agevolazioni alle spedizioni postali dei giornali. Al di là della crisi economica e dello scarso interesse del governo per la carta stampata, c'è dell'altro. E' qualcosa che va oltre e che coinvolge anche altri media. E' il caso della televisione. Oggi si assiste ad una vera e propria compromissione e ad un vero e proprio rimescolamento dei generi, che ha dato vita a fenomeni come il docudrama (commistione tra scienze o storia e fiction), le newctions (ricostruzioni di storie non vere, ma verosimili presentate come un racconto), ma, soprattutto, all'infotainment, una parola americana che nasce dall'unione di information (informazione) e entertainment (intrattenimento) ed indica il fenomeno della spettacolarizzazione dell'informazione. Da quando la concorrenza delle emittenti private ha cominciato ad incalzare la Rai, la programmazione si è riempita di occasioni di svago ed intrattenimento in tutte le ore del giorno. Il moltiplicarsi dei programmi di intrattenimento ha elevato, in senso spettacolare, tutto il tono della televisione, mettendo la stessa informazione in condizione di doversi confrontare con programmi che facevano molta meno fatica a guadagnare i favori del pubblico. L'informazione, votata alla cronaca e alla ricerca dell'oggettività, non è per niente al riparo dagli imperativi dello show e della seduzione. L'infotainment ha innescato, inoltre, anche il curioso meccanismo di personalizzazione del mestiere telegiornalistico: la figura del semplice messaggero di notizie acquista i tratti divistici dell'anchorman. L'informazione giunge a milioni di telespettatori attraverso la personalità, il modo di ragionare e l'immagine di coloro che la presentano. Di conseguenza numerosi giornalisti conducono trasmissioni prodotte dalle reti e non dalle testate giornalistiche, svolgendo un sostanziale lavoro di intrattenimento. Ed è in un contesto simile che si fa strada l'informazione on-line. I suoi pregi sembrano essere infiniti: maggiore tempestività, maggiore interattività, maggiore obbiettività, aggiornamenti continui di notizie, e via dicendo. Non solo. Le pagine web, i blog, le e-mail, la telefonia mobile, le tv tematiche riempiono costantemente le nostre giornate. Ma è anche vero che, messa a confronto con altre nazioni, l'Italia è parecchio indietro per quanto riguarda la familiarità con il computer e in particolare con Internet. Le tecnologie più diffuse e più usate rimangono il televisore e il cellulare. Qualcosa, però, sembra che cominci a scardinare questo scenario. Ha affermato Rupert Murdoch che il futuro propone due sole alternative: cambiare o morire. La brutale sintesi del fondatore della News Corporation, che controlla decine di giornali e televisioni digitali in tutto il mondo, sembra stia venendo a galla in tutta la sua forza. Come scrive Sabadin nel libro L'ultima copia del New York Times “chiunque produca informazione tradizionale non può che essere preoccupato dal fatto che sempre più persone abbiano trovato un modo più economico, rapido e divertente di informarsi”. Il web non deve essere percepito come un nemico dai media tradizionali, ma se usato nel modo giusto, può essere un grande strumento di divulgazione e di crescita e contribuire alla loro salvezza. Ad esempio, alcuni colossi statunitensi, come il Los Angeles Times, hanno deciso di unificare le redazioni. Chi lavora per l'edizione cartacea lavorerà anche per quella on-line e viceversa. Molti giovani che avevano deciso di fare i gionalisti devono, con molta probabilità, dunque confrontarsi con una realtà molto diversa da quella che avevano immaginato. Una realtà che, forse, li terrà impegnati notte e giorno davanti allo schermo di un computer. Le nuove tecnologie hanno, infatti, cambiato la società stessa. Sembrano essere state progettate per non lasciarci mai soli. 24 ore su 24 abbiano decine di possibilità diverse per comunicare e per essere informati, per di più gratis. La soluzione più plausibile sembra essere quella che invita i media tradizionali ad adattarsi ai tempi che cambiano, senza irrigidirsi su prassi ormai consolidate ma obsolete e senza sminuire le nuove tecnologie dell'informazione.
Rosaria Petrella.