Anche i Beatles diventano un videogioco

7/07/2009 11:49:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


Centinaia di gruppi musicali hanno già messo la loro musica a disposizione dei videogiochi musicali. L’ormai celebre serie Guitar Hero, e il suo principale rivale , Rock Band, quasi ogni giorno annunciano di aver stretto accordi esclusivi con nuovi artisti e nuove band per offrire brani da scaricare e giocare.
Mai prima d’ora, però, un videogioco aveva potuto offrire ai suoi utenti la musica dei Beatles e mai prima d’ora un videogioco era stato interamente realizzato per una singola band.
Adesso non più. Grazie a un accordo con Apple Corp (società fondata dagli stessi Beatles), EMI Music, Harrisongs Ltd e Sony/ATV Music Publishing, lo sviluppatore Harmonix, che ha inventato la serie Guitar Hero e poi, dopo essere stati acquisiti da Electronic Arts, ha creato la serie Rock Band, insieme a MTV Games (divisione della nota emittente musicale) collaboreranno per creare un videogame interamente dedicato alla storia, alla vita e alla carriera del quartetto di Liverpool che ha scritto la storia della musica rock.
L'evento è uno di quelli più memorabili: Paul Mc Carteney, Ringo Starr, Olivia Harrison e Yoko Ono (le vedove degli altri due Beatles), tutti insieme come non era mai accaduto prima in un'occasione pubblica. E l'occasione è stata, appunto, quella offerta dall'attesissima presentazione di The Beatles: Rock Band, il primo videogioco ufficiale dei Fab Four, sviluppato dalla Harmonix e pubblicato da MTV Games. Il gioco consente di vestire i panni di John, Paul, Ringo e George, suonare le loro canzoni, ripercorrere la loro carriera.
I due Beatles rimasti hanno fatto la loro apparizione assieme sul palco della conferenza stampa della Microsoft all'Eletronic Entertainment Expo che si è aperto a Los Angeles, commentando molto positivamente la pubblicazione del gioco. “Mi piace l'idea dei Beatles in un videogioco” ha detto McCarteney “ è un modo per far conoscere la nostra musica in un modo completamente diverso dal solito”.
Il gioco che sarà nei negozi nella simbolica data 09/09/09, contiene alcuni dei brani classici del repertorio dei Beatles, come “Here Comes The Sun”, “Octopus' garden”, “I fell fine”, “Get back”, 45 canzoni in tutto e consente ai giocatori di mettersi alla prova con le repliche virtuali degli strumenti più celebri suonati dai quattro come la Rickenbacker 325 di John Lennon o la batteria Ludwig di Ringo.
I giocatori potranno anche scaricare per intero alcune tracce per suonare per intero “Abbey Road” e entrare nei luoghi leggendari dell'avventura beatlesiana, dal Cavern Club degli esordi, all'Ed Sullivan Theater dove esordiranno negli Stati Uniti, dagli studi di Abbey Road fino al tetto della Apple dove nel 1969 si esibirono insieme per l'ultima volta.
Paul Mc Carteney, Ringo Starr, Olivia Harrison e Yoko Ono hanno collaborato attivamente alla realizzazione del progetto, il primo in cui, peraltro, i Beatles autorizzano il download dei loro brani, attualmente ancora non disponibile nei grandi negozi online come iTunes.
Tra l'altro chi scaricherà “All you need is love” per XBOX parteciperà anche ad un progetto benefico, perchè tutti i ricavi del dowload della canzone andranno a Medici senza Frontiere.
Il gioco sarà disponibile per la XBOX360 della Microsoft, la Playstation 3 della Sony e la Wii della Nintendo.
I Beatles digitali, come è possbile vedere dai filmati che circolano in rete, sono credibili e divertenti, la musica e le voci sono le loro.
“Mai avremmo pensato di diventare degli androidi” ha concluso Mc Carteney.
Rosaria Petrella

L'Istituto Luce lascia il posto a Cinecittà-Luce .

7/07/2009 11:47:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


E' sparito lo scorso 11 maggio uno dei marchi più prestigiosi del cinema italiano: L'Istituto Luce. E' confluito nell'Ente Cinecittà.
Il profilo dell'aquila su fondo blu, che ha accompagnato l'audiovisivo italiano dal 1924, si è dissolto in un nuovo marchio, quello di Cinecittà-Luce. Casa di produzine e distribuzione di documentari e film, l'Istituto Luce ha rappresentato un deposito prezioso della memoria italiana, in possesso di un monumentale archivio che raccoglie le immagini della realtà italiana dal fascismo ad oggi.
Oltre a documenti storici come la visita di Hitler a Roma, Il Duce guerriero, costruttore di edifici e bonificatore della paludi pontine, statista e arringatore delle folle, ci sono anche dettagli più curiosi e privati. Come Rachele Mussolini intenta a curare verdure a Villa Torlonia o a nutrire tacchini e maiali nella fattoria in Romagna.
Il Luce nasce come ente educativo ( da qui il nome Luce: L'Unione Cinematografica Educativa), ma diventa ben presto cinegiornale del regime. Al di là della retorica e della voce stentorea degli speaker, rimane una testimonianza impressionante di quegli anni. “Il cinema è l'arma più forte per arrivare al popolo” dichiarava Mussolini, organizzando studi cinematografici e stabilimenti di sviluppo. Si diffidava della stampa, scarsamente raggiungibile da una massa di analfabeti che raggiungevano il 60 per cento della popolazione.
“I cinegioranli” ricorda Sovena, già presidente del Luce e ora amministratore delegato di Cinecittà-Luce “parlavano a tutti della lotta alle zanzare, della riforma tranviaria, delle bonifiche”. Un messaggio che arrivava diretto con un supporto visivo. Il Luce rappresentava insomma il telegiornale di allora. I film di apologia del fascismo erano, in realtà, pochi : “Camicie nere”, “Un pilota ritorna”, “Sentinelle di bronzo”. Gli altri erano legati all'evasione dalla vita quotidiana o proponevano temi religiosi, ma l'eredità più grande proviene, soprattutto, dai documentari. Se ne occupavano quelli che poi sarebbero diventati grandi registi: Bertolucci, Antonioni, Olmi. Nel dopoguerra il Luce s'impegna nel cinema d'autore, producendo i lavori di Cavani, Antonioni, Visconti e Pasolini.
“Felice e orgoglioso" del lavoro fatto Gaetano Blandini, direttore generale Cinema del ministero dei Beni culturali, ed amministratore unico di Cinecittà Holding, che si dice "certo che ne deriverà un'azione essenziale per la valorizzazione del cinema italiano". Membri del Consiglio di Amministrazione sono Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale, Roberto Cadonati, psicologo e Massimo Biasiotti Mogliazza, avvocato esperto in riorganizzazione aziendale. "Cinecittà Luce - sottolinea il neo presidente Cicutto - deve diventare, più ancora che nel passato, uno strumento non solo al servizio di questa industria, ma soprattutto un centro di proposta, razionalizzazione e sviluppo di tutte quelle idee che mettano il cinema italiano in tutti i suoi comparti, al passo con i tempi e all'altezza dell'importanza culturale e industriale che riveste". Con l'atto di fusione "si realizza un obiettivo storico", fa notare ancora Sovena, assicurando che "una grande attenzione sarà dedicata all'ampliamento dell'Archivio Storico che, anche attraverso nuove acquisizioni e nuove alleanze, deve consolidarsi definitivamente nella sua funzione di memoria diffusa e attiva dell'Italia nel XX secolo". Programmi, obiettivi e strategie della nuova Cinecittà Luce verranno presentati nel corso di una conferenza stampa che sarà indetta nel mese di luglio.


Rosaria Petrella

Di reality si può morire. Ecco le vittime della “sindrome del Truman Show”.

7/07/2009 11:42:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


Finisce la stagione televisiva dei vari reality e talent show più seguiti, che hanno invaso i palinsesti di tutte le reti. I vari partecipanti, forti del successo riscosso, si riversano nelle nostre piazze e nei nostri palasport, per essere acclamati come idoli da orde di fan scatenati e godersi la popolarità acquisita. Per tutti, vincitori e vinti, è il momento di iniziare a fare bilanci delle loro esperienze.
E’ indubbio, infatti, che questo nuovo tipo di televisione, apparentemente sempre più ricca di vera competizione e di sano agonismo, può nascondere anche insidie davvero drammatiche, specie per coloro i quali, proprio grazie alla partecipazione più o meno fugace ad un reality, hanno visto stroncare drammaticamente i loro sogni. Dalla realistica illusione di poter vivere sotto ai riflettori e di godersi il successo all’intollerabile ritorno alla normalità, magari dopo la cocente eliminazione più o meno condivisa.
Se pensate che i reality show italiani siano il fenomeno più denigrante degli ultimi dieci anni e che facciano uscire il lato peggiore di chi vi partecipa, all'estero le cose vanno ancora peggio. Oltreoceano di reality si muore. Perchè non si riesce a reggere la delusione di vedersi escluso da un programma televisivo o non si tollera il ritorno all'anonimato. E c'è addirittura chi, travolto dall'ansia dell'imminente apparizione sul piccolo schermo, viene colpito a morte dallo “stress da tv”, prima ancora del debutto.
Non è, però, un fenomeno limitato solo agli Stati Uniti. Secondo un'inchiesta del web magazine hollywoodiano “The Wrap”, tra le undici vittime accertate ci sono anche partecipanti a reality show inglesi, svedesi e indiani.
Per psicologi e psichiatri ci troviamo davanti ad una nuova patologia: “la sindrome del Truman Show”, con riferimento al famoso film con Jim Carrey, in cui il protagonista scopre di essere al centro di un reality show e tutte le persone che fanno parte della sua vita non sono altro che attori. “Lo stress di essere proiettati da una vita normale e perfino banale ad una stella del varietà è immenso” dice Jamie Huysman, psichiatra dell'università della Florida. Una diagnosi forte , che mette sotto accusa quello che sembra essere diventato il valore cardine della società odierna: ovvero il culto della celebrità, l'idea che vivere senza diventare famosi sia come non vivere, la prospettiva che la realtà vera sia quella del reality show.
Il caso più noto è quello di Paula Goodspeed, un ex concorrente di American Idol (format dal quale è stato tratto l'italiano X Factor), che l'11 novembre del 2008, dopo essere stata esclusa dal programma, si è suicidata con un overdose di droghe e farmaci davanti all'abitazione di Paula Abdul, giudice del talent show, che l'aveva strapazzata in diretta decretandone, secondo la vittima l'eliminazione.
Partecipare a Wife Swap, invece, è costato caro all'inglese Simon Foster. Prima ha perso la compagna (che l'ha lasciato per un altro portandosi via i figli), poi la casa e infine il lavoro. E' stato trovato morto imbottito di droghe.
Pochi mesi prima, a migliaia di chilometri di distanza, nel continente indiano, la stessa scelta l'aveva compiuta una ragazza di soli 21 anni, Tania Saha, che si era presentata ai provini del talent show “Fatifati” con in tasca una boccetta di veleno pronta a berlo se fosse stata esclusa. Fu esclusa. Nel 2007 Cheryl Kosewicz,sostituto procuratore di Reno in Nevada, nonché concorrente di Pirate Master (un reality sui pirati che si svolge a bordo di un galeone) si è uccisa dopo essere stata eliminata al televoto, dando l'addio su MySpace.
Anche il ventiseienne Nathan Clutterha deciso di togliersi la vita, lanciandosi dai trenta metri di un'antenna per cellulari, dopo aver partecipato a Paradise hotel 2 (reality dove un gruppo di ragazzi vive in un hotel a 5 stelle e deve resistere alle tentazioni di provocanti cameriere). C'è anche chi, però, ha deciso di farla finita addirittura prima di approdare nel programma dei propri sogni, come Najai Turpin, che si è sparato il giorno di San Valentino del 2005, qualche settimana prima dell'inizio di The Contender, uno show a metà tra reality e un torneo di boxe.
La conclusione a cui sono arrivati gli specialisti è che tutto questo è molto spesso conseguenza delle enormi delusioni paranoiche che può produrre per alcune personalità il vivere un pezzo di vita davanti alle telecamere o magari l'ansia di farlo.
Alcune persone, infatti, subiscono un rapimento quasi maniacale dall’improvvisa popolarità che questi programmi garantiscono, portando a mischiare irrimediabilmente il sogno con la realtà. Ecco, dunque, che, con la fine improvvisa della popolarità, molti ragazzi non riescono più a farsene una ragione, impauriti di sprofondare di nuovo nell’anonimato e nel fallimento.
Tutto questo, spesso, è anche frutto delle aspettative fin troppo eccessive che vengono create dai programmi stessi.
E’ questo il caso, sicuramente meno cruento, ma altrettanto significativo di Susan Boyle, brutto anatroccolo con voce d’angelo rivelazione dell’ultimo Britain got talent, che, dopo l'inaspettata sconfitta in finale, ha dato letteralmente di matto, finendo immediatamente in cura in una clinica psichiatrica londinese.
Ovvie, dunque, le polemiche su questo nuovo tipo di televisione, considerata incapace di tutelare davvero i giovani partecipanti e rea di sfruttarne le potenzialità solo finchè l’audience si impenna. La verità è che questo tipo di programmi possono risultare davvero dannosi solo per coloro che hanno già di natura una personalità non tanto forte e che, quindi, viene materialmente schiacciata in conseguenza delle continue pressioni che queste competizioni televisive incentivano.
Unica cosa utile e logica sarebbe magari quella di affiancare continuamente ai partecipanti degli show gruppi di psicologi, in grado di valutarne le reazioni e,quindi, poter intervenire tempestivamente per scongiurare altre tragedie.
Rosaria Petrella

Uomini di qua, donne di là. In mezzo, un muro

6/16/2009 02:43:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »



Gente matta i triestini, fora de testa come si dice da quelle parti. Uomini e donne divisi da un muro. Soprattutto orgogliosi e fieri di esserlo: gli unici in Europa. Assolutamente contrari a rompere questa tradizione. Molti turisti non ci credono e vanno a controllare: come è possibile che possa esistere ancora una separazione tra sessi così netta e nessuno protesti? Chi non vive qui non può capirlo: quel muro è una vera e propria istituzione cittadina.
Il 7 maggio il quotidiano “Il Giornale” ha pubblicato un articolo di Fausto Biloslavo intitolato “Sessi divisi in spiaggia. Talebani? No, triestini” (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=349617&PRINT=S). Per piacere, non scherziamo. Il paragone è assolutamente fuori luogo. Politica e religione non c’entrano assolutamente nulla, si tratta solo di attaccamento alla tradizione. A fine anni ’80 venne anche fatto un referendum per decidere il destino del muro: i triestini all’unanimità decisero di mantenerlo.


Le ragioni di questo attaccamento sono principalmente due:
tutto quello che rimanda all'Austria e alla dominazione asburgica è vissuto con orgoglio e nostalgia dalla maggior parte della città (non è difficile trovare in giro vecchietti che predicano quanto bene si stesse sotto l'Austria nonostante di tempo ne sia passato)
sia uomini che donne hanno i loro buoni motivi per apprezzare la divisione: i primi possono prendere il sole e giocare a carte senza il sottofondo costante delle chiacchiere delle signore mentre quest'ultime possono abbronzarsi in piena libertà senza gli sguardi indiscreti degli ometti e senza preoccuparsi troppo di difetti fisici e dell'età che avanza


Al «Pedocin» la divisione fra uomini e donne avviene fin dall'ingresso: uomini a destra, donne e bambini a sinistra. Assolutamente singolare è il fatto che dopo aver pagato il biglietto bisogna obliterarlo nelle stesse macchinette se si trovano sugli autobus.
Spogliatoi divisi, docce e spiagge separate. Il muro di separazione alto 3 metri continua anche per un tratto di mare per poi venir sostituito da delle boe meno rigorose. È particolare vedere le famiglie e le coppie dividersi all’ingresso e poi magari sorprenderli a chiacchierare e salutarsi in mare ognuno dalla propria parte sancita dalla corda divisoria.
Solitamente la parte femminile è quella definita familiare con le donne e i maschi fino ai 12 anni (una volta potevano entrare fino al metro d’altezza), quella maschile è invece una sorta di area franca “dei omini che vol esser lassadi in pase almeno al bagno” (degli uomini che vogliono essere lasciati in pace almeno al bagno) come predica la maggior parte di loro.


Lo stabilimento “Bagno Lanterna” nacque a fine Ottocento lungo il molo di Santa Teresa, divenuto poi molo Fratelli Bandiera. L’inaugurazione sembra sia avvenuta nel 1903 anche se precedentemente esisteva già uno stabilimento balneare, il “Bagno Fortuna”. Costruito in legno, venne da subito diviso in due da una palizzata centrale (cementificata tre anni più tardi). Essa venne eretta per proteggere quella che attualmente viene chiamata privacy e per evitare atti contrari alla decenza. Questo rigore nella divisione e nella difesa della propria parte c’è tutt’oggi: guai se un bagnante di sesso maschile fa irruzione nel settore “rosa”o prova a dare una sbirciata! Inevitabilmente verrà ricoperto da una valanga di insulti…Stesso discorso vale anche dall’altra parte. La parola d'ordine è massima libertà, ognuno dalla propria parte però.
Il nome del bagno deriva dalla lanterna collocata sul molo nel 1832 come faro marittimo. Era il bagno più popolare di Trieste, lo frequentavano le famiglie cittadine meno ricche (è rimasto gratuito fino al 1984). C’era così tanta gente che alcuni storici ritengono che la denominazione triestina del bagno, “Pedocin”, derivi dalla miriade di persone che lo affollavano. In dialetto sono infatti definite pedoci le cozze: c’era tanta gente quante cozze attaccate agli scogli. In realtà il nome dovrebbe derivare dal fatto che i borghesi dicevano che lì andavano a “spidocchiarsi” i militari e il popolo (pidocchio in triestino si dice pedocio, quindi il nome del bagno significa anche “piccolo pidocchio”). In realtà il primo nome popolare del bagno fu “Ciodin” (piccolo chiodo) derivante dal fatto che la gente si portava da casa i chiodi per appendere gli abiti.
Lo stabilimento presenta anche un altro vantaggio non trascurabile: è in pieno centro città, sulle rive, facilmente raggiungibile e vicino a tutti i principali uffici e sedi lavorative. Al suo esterno c’è inoltre un ampio parcheggio. Esso è diventato a pagamento alcuni anni fa; la gente ha protestato ma purtroppo non ha portato a niente. Vista la sua locazione il bagno è facilmente raggiungibile anche con gli autobus 8 e 9, due delle linee principali che collegano i quartieri più abitati al centro città. I più assidui frequentatori sono i pensionati che effettuano una vera e propria corsa al posto migliore e per aggiudicarsi una delle poche sedie gratuite disponibili già alle prime luci dell’alba (il bagno apre alle 6). Comunque sono clienti fissi dello stabilimento anche i lavoratori in pausa pranzo, le commesse e le studentesse. Per non parlare poi delle mamme o delle nonne con i nipotini piccoli che possono giocare con i sassi sulla spiaggia o dormire all’ombra nel corridoio adibito ad appendere gli abiti e spogliarsi. Insomma, un posto adatto e amato da tutti. I triestini che non ci sono mai stati sono delle vere rarità.


L’amore e l’attaccamento anche dei più giovani per questo posto sono testimoniati dalla presenza di ben 4 gruppi in facebook, il social network più in voga al momento. All’interno di queste pagine si possono leggere le testimonianze dei fedeli frequentatori, alcune alquanto bizzarre. Tra queste spicca sicuro il messaggio lasciato da Max Rocco nel gruppo “Fan del pedocin”. Egli ricorda di un giorno in cui un uomo si è spogliato in spiaggia fino a che non si è levato anche la protesi del braccio lasciandolo completamente di stucco. Sempre Max scrive poi di quando erano andati al mare lì anche Carmen Russo e Enzo Paolo Turchi, riunitisi poi nel baracchino all’esterno a mangiare panini con l’ombolo. Claudia Vascotto invece informa gli altri fan di aver creato un myspace sul pedocin (www.myspace.com\pedocin.lanterna). Gli altri gruppi si chiamano invece “Amanti del pedocin!”, “Amici del pedocin” e “Pedocin beach Trieste”.

Ecco i link dei gruppi presenti in Facebook:
“Fan del pedocin”: http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?sid=c0dc497191c7f84211ecd4b50879f3be&gid=31615907710&ref=search
“Amanti del pedocin!”: http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?sid=c0dc497191c7f84211ecd4b50879f3be&gid=52545904937&ref=search
“Pedocin beach Trieste”: http://www.facebook.com/home.php?ref=home#/group.php?sid=c0dc497191c7f84211ecd4b50879f3be&gid=174898645503&ref=search
“Amici del pedocin...”: http://www.facebook.com/group.php?sid=c0dc497191c7f84211ecd4b50879f3be&gid=90970270177&ref=search


Il bagno è anche al centro di due commedie dialettali: “Il muro” (scritta da Gianfranco Gabrielli e messa in scena una decina di anni fa dalla compagnia “I Grembani”) e “Le Sariandole” (nata da un’idea di Rosanna Raguseo, è stata scritta dal giornalista scrittore Roberto Curci. La commedia in dialetto triestino narra di quattro donne che si ritrovano al riparo del muro per chiacchierare e spettegolare sulle altre frequentatrici del bagno, delle ragazze più giovani, ma soprattutto dei maschi, relegati dall’altra parte o rimasti a casa a lamentarsi).


Insomma, il muro è inviolabile, profondamente radicato nel cuore dei triestini. È lì da più di un secolo e lo resterà ancora per molto. Sfidare l’ira dei cittadini e proporre di abbatterlo non è consigliabile… Quindi avanti con il muro e non provate a toccarlo!!!


Informazioni utili:
Indirizzo: Molo Fratelli Bandiera 3
Telefono: 040 305922
Orari: da giugno ad agosto tutti i giorni dalle 6 alle 20
settembre tutti i giorni dalle 7 alle 19
da novembre a febbraio da lunedì a sabato dalle 9 alle 15
ottobre, marzo, aprile e maggio da lunedì al sabato dalle 10 alle 17
Costi: ingresso singolo giornaliero 80 centesimi
abbonamento mensile 15 euro
abbonamento stagionale 50 euro

Scritto da Ilaria Colautti

Che fine faranno i media tradizionali?

5/13/2009 10:15:00 AM Posted In Edit This 0 Comments »


Un terremoto si sta abbattendo sul mondo dell'editoria e dei giornali. I primi segnali arrivano, come sempre in anticipo, dagli Stati Uniti, con le ultimissime notizie, davvero drammatiche, che parlano di bancarotta per il gruppo Tribune ( editore fra gli altri del Los Angeles Times e del Chicago Tribune) 161 anni dopo la sua fondazione. E di analoghi rischi per il New York Times, che controlla anche il Boston Globe oltre al prestigiosissimo International Herald Tribune. La crisi economica ha spinto il celebre New York Times a vendere il proprio quartier generale, realizzato da Renzo Piano, dove si era trasferito giusto tre anni fa. Per la cifra di 225 milioni di dollari, che gli consentiranno di avere maggiore liquidità, il giornale ha deciso di vendere 21 piani del suo edificio di Manhattan, con la clausola di poterli riacquistare con un contratto d’affitto di 15 anni dall’acquirente, la W.P. Carey & Co per 250 milioni di dollari. La crisi dunque non risparmia neanche le testate più solide e blasonate. Ma come negli Usa, anche in Italia, sebbene ancora sotto traccia, il grande terremoto si preannuncia non meno devastante. Per ora si colgono piccole scosse sotterranee, ma dal Corriere a Repubblica, dal Sole 24 Ore alla stessa Rai, sotto i piedi di manager e giornalisti, la terra comincia a tremare. Di segnali ve ne sono fin troppi: basta dare un'occhiata alle performance borsistiche del comparto editoriale negli ultimi dodici mesi. La giovanissima Cairo Editore guida questa sconcertante classifica negativa con meno 70, seguito a ruota da aziende di grande tradizione come Rcs Mediagroup (meno 66) e Poligrafici (meno 63). E, in sequenza, non manca nessuno, dal vecchio gruppo Espresso di Carlo De Benedetti (meno 57) al Sole 24 Ore di Emma Marcegaglia (meno 55). I problemi e i nodi irrisolti sono comuni: costi fuori controllo, dalla carta agli organici pletorici, scarsa produttività a fronte di superstipendi e benefit per manager , giornalisti ed inviati, ricavi tanto da edicola quanto da advertising crollati a causa della disaffezione dei lettori e della contrazione degli investimenti pubblicitari. Come si legge nel rapporto sulla stampa 2006-2008 della Federazione Italiana Editori Giornali, il Presidente Sarkozy, muovendo dalla convinzione che “una democrazia non può funzionare conuna stampa sull’orlo del precipizio economico”, ha accolto gran parte delle proposte emerse dagli “Stati generali dell’editoria” e varato un piano di intervento di 600 milioni di euro a sostegno dei giornali nell’arco del triennio 2009-2011. Fiscalità meno pesante nella fase distributiva, sostegno agli abbonamenti, congelamento dell’aumento delle tariffe postali, aumento delle spese pubblichedi comunicazione da destinare alla stampa, agevolazioni delle partecipazioni estere nel capitale di imprese editrici, abbonamenti gratuiti per i giovani, sono alcune delle principali misure decise dal governo francese per trasmettere impulsi accelerativi al settore. In Italia, la manovra finanziaria per il 2009 non prevede invece alcun intervento significativo in favore di un settore considerato in Francia “strategico” al pari dell’industria pesante, ma soltanto tagli ai trasferimenti di risorse, derivanti dalle agevolazioni alle spedizioni postali dei giornali. Al di là della crisi economica e dello scarso interesse del governo per la carta stampata, c'è dell'altro. E' qualcosa che va oltre e che coinvolge anche altri media. E' il caso della televisione. Oggi si assiste ad una vera e propria compromissione e ad un vero e proprio rimescolamento dei generi, che ha dato vita a fenomeni come il docudrama (commistione tra scienze o storia e fiction), le newctions (ricostruzioni di storie non vere, ma verosimili presentate come un racconto), ma, soprattutto, all'infotainment, una parola americana che nasce dall'unione di information (informazione) e entertainment (intrattenimento) ed indica il fenomeno della spettacolarizzazione dell'informazione. Da quando la concorrenza delle emittenti private ha cominciato ad incalzare la Rai, la programmazione si è riempita di occasioni di svago ed intrattenimento in tutte le ore del giorno. Il moltiplicarsi dei programmi di intrattenimento ha elevato, in senso spettacolare, tutto il tono della televisione, mettendo la stessa informazione in condizione di doversi confrontare con programmi che facevano molta meno fatica a guadagnare i favori del pubblico. L'informazione, votata alla cronaca e alla ricerca dell'oggettività, non è per niente al riparo dagli imperativi dello show e della seduzione. L'infotainment ha innescato, inoltre, anche il curioso meccanismo di personalizzazione del mestiere telegiornalistico: la figura del semplice messaggero di notizie acquista i tratti divistici dell'anchorman. L'informazione giunge a milioni di telespettatori attraverso la personalità, il modo di ragionare e l'immagine di coloro che la presentano. Di conseguenza numerosi giornalisti conducono trasmissioni prodotte dalle reti e non dalle testate giornalistiche, svolgendo un sostanziale lavoro di intrattenimento. Ed è in un contesto simile che si fa strada l'informazione on-line. I suoi pregi sembrano essere infiniti: maggiore tempestività, maggiore interattività, maggiore obbiettività, aggiornamenti continui di notizie, e via dicendo. Non solo. Le pagine web, i blog, le e-mail, la telefonia mobile, le tv tematiche riempiono costantemente le nostre giornate. Ma è anche vero che, messa a confronto con altre nazioni, l'Italia è parecchio indietro per quanto riguarda la familiarità con il computer e in particolare con Internet. Le tecnologie più diffuse e più usate rimangono il televisore e il cellulare. Qualcosa, però, sembra che cominci a scardinare questo scenario. Ha affermato Rupert Murdoch che il futuro propone due sole alternative: cambiare o morire. La brutale sintesi del fondatore della News Corporation, che controlla decine di giornali e televisioni digitali in tutto il mondo, sembra stia venendo a galla in tutta la sua forza. Come scrive Sabadin nel libro L'ultima copia del New York Times “chiunque produca informazione tradizionale non può che essere preoccupato dal fatto che sempre più persone abbiano trovato un modo più economico, rapido e divertente di informarsi”. Il web non deve essere percepito come un nemico dai media tradizionali, ma se usato nel modo giusto, può essere un grande strumento di divulgazione e di crescita e contribuire alla loro salvezza. Ad esempio, alcuni colossi statunitensi, come il Los Angeles Times, hanno deciso di unificare le redazioni. Chi lavora per l'edizione cartacea lavorerà anche per quella on-line e viceversa. Molti giovani che avevano deciso di fare i gionalisti devono, con molta probabilità, dunque confrontarsi con una realtà molto diversa da quella che avevano immaginato. Una realtà che, forse, li terrà impegnati notte e giorno davanti allo schermo di un computer. Le nuove tecnologie hanno, infatti, cambiato la società stessa. Sembrano essere state progettate per non lasciarci mai soli. 24 ore su 24 abbiano decine di possibilità diverse per comunicare e per essere informati, per di più gratis. La soluzione più plausibile sembra essere quella che invita i media tradizionali ad adattarsi ai tempi che cambiano, senza irrigidirsi su prassi ormai consolidate ma obsolete e senza sminuire le nuove tecnologie dell'informazione.


Rosaria Petrella.

Storie di ordinari soprusi...

5/11/2009 04:52:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »
Ennesima storia di mobbing sul posto di lavoro: la vittima, S. D. di 27 anni, operaio di III livello di una società metalmeccanica romagnola, lamenta di aver subito un trasferimento per ritorsione.
L’azienda, che a Roma si occupa di lavori di manutenzione delle linee elettriche e delle vetture per conto di Atac e Fs, lo aveva assunto con un contratto a giornata che prevedeva turni di lavoro di 8h. A seguito del licenziamento del capocantiere viene nominato Addetto Controllo qualità, svolgendo di fatto però gli stessi compiti di quest’ultimo. Con i primi ritardi delle busta paga e gli errori nel computo delle ore, il giovane manifesta il proprio disappunto per il mancato adeguamento del contratto e il pagamento degli straordinari,oltre le 173 ore di lavoro previste dal Contratto Collettivo Nazionale .
Pochi giorni fa la doccia fredda. Una lettera della direzione ufficializzava il trasferimento nella sede di Forlì per incompatibilità con la sezione di Roma.
La denuncia di questi episodi può rappresentare un miglioramento della situazione globale.

Scritto da Francesca Donato

Il mio primo "1°Maggio" a Roma

5/06/2009 05:16:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »
Nella vita si sa, c’è sempre una prima volta per tutto. E come ogni prima volta le sensazioni sono sempre irripetibili, quasi impossibili da decifrare. Dal sofà di casa alla piazza il passo è stato breve.
Adrenalina,incredulità e stupore. Ecco il giusto cocktail di sensazioni. Tante bandiere. Tante magliette. Tante bottiglie. Cellulari impazziti alla ricerca dei propri amici, ma quanti appuntamenti falliti!
Intanto sul palco si susseguivano vari artisti. E la piazza ballava a ritmo di tarantella. Cantava e applaudiva. Questo è lo spirito del “1 Maggio”. Questo è lo spirito dei giovani.
E poi e poi e poi … come dice Mina, nella canzone L’importante è finire, “Adesso arriva lui”. Lui chi?Vasco!Incessante tra la folla è stato il coro “Olè olè olè olèèèèèè Vascoooo Vascooooo” per tutto il concerto. Dall’alba al tramonto. Fischi e insulti per gli altri. Applausi per Fibra!no per Vasco!
Ironico come sempre. Lucido. Tutti conoscevano a memoria le parole delle sue canzoni. Forse in pochi in quel momento ne capivano il senso.
Vasco stesso cantava “ Voglio trovare un senso a questa sera…anche se questa sera un senso non ce l’ha…” ma 800.000 persone a Roma questo senso l’hanno trovato. Una grande giornata di musica, un momento di aggregazione per i giovani e i meno giovani di tutta Italia, con il pensiero rivolto ai ragazzi dell’Aquila che non hanno potuto prender parte a questa giornata di festa.

Francesca Donato