Di reality si può morire. Ecco le vittime della “sindrome del Truman Show”.
7/07/2009 11:42:00 PM Posted In Attualità Edit This 0 Comments »
Finisce la stagione televisiva dei vari reality e talent show più seguiti, che hanno invaso i palinsesti di tutte le reti. I vari partecipanti, forti del successo riscosso, si riversano nelle nostre piazze e nei nostri palasport, per essere acclamati come idoli da orde di fan scatenati e godersi la popolarità acquisita. Per tutti, vincitori e vinti, è il momento di iniziare a fare bilanci delle loro esperienze.
E’ indubbio, infatti, che questo nuovo tipo di televisione, apparentemente sempre più ricca di vera competizione e di sano agonismo, può nascondere anche insidie davvero drammatiche, specie per coloro i quali, proprio grazie alla partecipazione più o meno fugace ad un reality, hanno visto stroncare drammaticamente i loro sogni. Dalla realistica illusione di poter vivere sotto ai riflettori e di godersi il successo all’intollerabile ritorno alla normalità, magari dopo la cocente eliminazione più o meno condivisa.
Se pensate che i reality show italiani siano il fenomeno più denigrante degli ultimi dieci anni e che facciano uscire il lato peggiore di chi vi partecipa, all'estero le cose vanno ancora peggio. Oltreoceano di reality si muore. Perchè non si riesce a reggere la delusione di vedersi escluso da un programma televisivo o non si tollera il ritorno all'anonimato. E c'è addirittura chi, travolto dall'ansia dell'imminente apparizione sul piccolo schermo, viene colpito a morte dallo “stress da tv”, prima ancora del debutto.
Non è, però, un fenomeno limitato solo agli Stati Uniti. Secondo un'inchiesta del web magazine hollywoodiano “The Wrap”, tra le undici vittime accertate ci sono anche partecipanti a reality show inglesi, svedesi e indiani.
Per psicologi e psichiatri ci troviamo davanti ad una nuova patologia: “la sindrome del Truman Show”, con riferimento al famoso film con Jim Carrey, in cui il protagonista scopre di essere al centro di un reality show e tutte le persone che fanno parte della sua vita non sono altro che attori. “Lo stress di essere proiettati da una vita normale e perfino banale ad una stella del varietà è immenso” dice Jamie Huysman, psichiatra dell'università della Florida. Una diagnosi forte , che mette sotto accusa quello che sembra essere diventato il valore cardine della società odierna: ovvero il culto della celebrità, l'idea che vivere senza diventare famosi sia come non vivere, la prospettiva che la realtà vera sia quella del reality show.
Il caso più noto è quello di Paula Goodspeed, un ex concorrente di American Idol (format dal quale è stato tratto l'italiano X Factor), che l'11 novembre del 2008, dopo essere stata esclusa dal programma, si è suicidata con un overdose di droghe e farmaci davanti all'abitazione di Paula Abdul, giudice del talent show, che l'aveva strapazzata in diretta decretandone, secondo la vittima l'eliminazione.
Partecipare a Wife Swap, invece, è costato caro all'inglese Simon Foster. Prima ha perso la compagna (che l'ha lasciato per un altro portandosi via i figli), poi la casa e infine il lavoro. E' stato trovato morto imbottito di droghe.
Pochi mesi prima, a migliaia di chilometri di distanza, nel continente indiano, la stessa scelta l'aveva compiuta una ragazza di soli 21 anni, Tania Saha, che si era presentata ai provini del talent show “Fatifati” con in tasca una boccetta di veleno pronta a berlo se fosse stata esclusa. Fu esclusa. Nel 2007 Cheryl Kosewicz,sostituto procuratore di Reno in Nevada, nonché concorrente di Pirate Master (un reality sui pirati che si svolge a bordo di un galeone) si è uccisa dopo essere stata eliminata al televoto, dando l'addio su MySpace.
Anche il ventiseienne Nathan Clutterha deciso di togliersi la vita, lanciandosi dai trenta metri di un'antenna per cellulari, dopo aver partecipato a Paradise hotel 2 (reality dove un gruppo di ragazzi vive in un hotel a 5 stelle e deve resistere alle tentazioni di provocanti cameriere). C'è anche chi, però, ha deciso di farla finita addirittura prima di approdare nel programma dei propri sogni, come Najai Turpin, che si è sparato il giorno di San Valentino del 2005, qualche settimana prima dell'inizio di The Contender, uno show a metà tra reality e un torneo di boxe.
La conclusione a cui sono arrivati gli specialisti è che tutto questo è molto spesso conseguenza delle enormi delusioni paranoiche che può produrre per alcune personalità il vivere un pezzo di vita davanti alle telecamere o magari l'ansia di farlo.
Alcune persone, infatti, subiscono un rapimento quasi maniacale dall’improvvisa popolarità che questi programmi garantiscono, portando a mischiare irrimediabilmente il sogno con la realtà. Ecco, dunque, che, con la fine improvvisa della popolarità, molti ragazzi non riescono più a farsene una ragione, impauriti di sprofondare di nuovo nell’anonimato e nel fallimento.
Tutto questo, spesso, è anche frutto delle aspettative fin troppo eccessive che vengono create dai programmi stessi.
E’ questo il caso, sicuramente meno cruento, ma altrettanto significativo di Susan Boyle, brutto anatroccolo con voce d’angelo rivelazione dell’ultimo Britain got talent, che, dopo l'inaspettata sconfitta in finale, ha dato letteralmente di matto, finendo immediatamente in cura in una clinica psichiatrica londinese.
Ovvie, dunque, le polemiche su questo nuovo tipo di televisione, considerata incapace di tutelare davvero i giovani partecipanti e rea di sfruttarne le potenzialità solo finchè l’audience si impenna. La verità è che questo tipo di programmi possono risultare davvero dannosi solo per coloro che hanno già di natura una personalità non tanto forte e che, quindi, viene materialmente schiacciata in conseguenza delle continue pressioni che queste competizioni televisive incentivano.
Unica cosa utile e logica sarebbe magari quella di affiancare continuamente ai partecipanti degli show gruppi di psicologi, in grado di valutarne le reazioni e,quindi, poter intervenire tempestivamente per scongiurare altre tragedie.
Rosaria Petrella
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