Anche i Beatles diventano un videogioco

7/07/2009 11:49:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


Centinaia di gruppi musicali hanno già messo la loro musica a disposizione dei videogiochi musicali. L’ormai celebre serie Guitar Hero, e il suo principale rivale , Rock Band, quasi ogni giorno annunciano di aver stretto accordi esclusivi con nuovi artisti e nuove band per offrire brani da scaricare e giocare.
Mai prima d’ora, però, un videogioco aveva potuto offrire ai suoi utenti la musica dei Beatles e mai prima d’ora un videogioco era stato interamente realizzato per una singola band.
Adesso non più. Grazie a un accordo con Apple Corp (società fondata dagli stessi Beatles), EMI Music, Harrisongs Ltd e Sony/ATV Music Publishing, lo sviluppatore Harmonix, che ha inventato la serie Guitar Hero e poi, dopo essere stati acquisiti da Electronic Arts, ha creato la serie Rock Band, insieme a MTV Games (divisione della nota emittente musicale) collaboreranno per creare un videogame interamente dedicato alla storia, alla vita e alla carriera del quartetto di Liverpool che ha scritto la storia della musica rock.
L'evento è uno di quelli più memorabili: Paul Mc Carteney, Ringo Starr, Olivia Harrison e Yoko Ono (le vedove degli altri due Beatles), tutti insieme come non era mai accaduto prima in un'occasione pubblica. E l'occasione è stata, appunto, quella offerta dall'attesissima presentazione di The Beatles: Rock Band, il primo videogioco ufficiale dei Fab Four, sviluppato dalla Harmonix e pubblicato da MTV Games. Il gioco consente di vestire i panni di John, Paul, Ringo e George, suonare le loro canzoni, ripercorrere la loro carriera.
I due Beatles rimasti hanno fatto la loro apparizione assieme sul palco della conferenza stampa della Microsoft all'Eletronic Entertainment Expo che si è aperto a Los Angeles, commentando molto positivamente la pubblicazione del gioco. “Mi piace l'idea dei Beatles in un videogioco” ha detto McCarteney “ è un modo per far conoscere la nostra musica in un modo completamente diverso dal solito”.
Il gioco che sarà nei negozi nella simbolica data 09/09/09, contiene alcuni dei brani classici del repertorio dei Beatles, come “Here Comes The Sun”, “Octopus' garden”, “I fell fine”, “Get back”, 45 canzoni in tutto e consente ai giocatori di mettersi alla prova con le repliche virtuali degli strumenti più celebri suonati dai quattro come la Rickenbacker 325 di John Lennon o la batteria Ludwig di Ringo.
I giocatori potranno anche scaricare per intero alcune tracce per suonare per intero “Abbey Road” e entrare nei luoghi leggendari dell'avventura beatlesiana, dal Cavern Club degli esordi, all'Ed Sullivan Theater dove esordiranno negli Stati Uniti, dagli studi di Abbey Road fino al tetto della Apple dove nel 1969 si esibirono insieme per l'ultima volta.
Paul Mc Carteney, Ringo Starr, Olivia Harrison e Yoko Ono hanno collaborato attivamente alla realizzazione del progetto, il primo in cui, peraltro, i Beatles autorizzano il download dei loro brani, attualmente ancora non disponibile nei grandi negozi online come iTunes.
Tra l'altro chi scaricherà “All you need is love” per XBOX parteciperà anche ad un progetto benefico, perchè tutti i ricavi del dowload della canzone andranno a Medici senza Frontiere.
Il gioco sarà disponibile per la XBOX360 della Microsoft, la Playstation 3 della Sony e la Wii della Nintendo.
I Beatles digitali, come è possbile vedere dai filmati che circolano in rete, sono credibili e divertenti, la musica e le voci sono le loro.
“Mai avremmo pensato di diventare degli androidi” ha concluso Mc Carteney.
Rosaria Petrella

L'Istituto Luce lascia il posto a Cinecittà-Luce .

7/07/2009 11:47:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


E' sparito lo scorso 11 maggio uno dei marchi più prestigiosi del cinema italiano: L'Istituto Luce. E' confluito nell'Ente Cinecittà.
Il profilo dell'aquila su fondo blu, che ha accompagnato l'audiovisivo italiano dal 1924, si è dissolto in un nuovo marchio, quello di Cinecittà-Luce. Casa di produzine e distribuzione di documentari e film, l'Istituto Luce ha rappresentato un deposito prezioso della memoria italiana, in possesso di un monumentale archivio che raccoglie le immagini della realtà italiana dal fascismo ad oggi.
Oltre a documenti storici come la visita di Hitler a Roma, Il Duce guerriero, costruttore di edifici e bonificatore della paludi pontine, statista e arringatore delle folle, ci sono anche dettagli più curiosi e privati. Come Rachele Mussolini intenta a curare verdure a Villa Torlonia o a nutrire tacchini e maiali nella fattoria in Romagna.
Il Luce nasce come ente educativo ( da qui il nome Luce: L'Unione Cinematografica Educativa), ma diventa ben presto cinegiornale del regime. Al di là della retorica e della voce stentorea degli speaker, rimane una testimonianza impressionante di quegli anni. “Il cinema è l'arma più forte per arrivare al popolo” dichiarava Mussolini, organizzando studi cinematografici e stabilimenti di sviluppo. Si diffidava della stampa, scarsamente raggiungibile da una massa di analfabeti che raggiungevano il 60 per cento della popolazione.
“I cinegioranli” ricorda Sovena, già presidente del Luce e ora amministratore delegato di Cinecittà-Luce “parlavano a tutti della lotta alle zanzare, della riforma tranviaria, delle bonifiche”. Un messaggio che arrivava diretto con un supporto visivo. Il Luce rappresentava insomma il telegiornale di allora. I film di apologia del fascismo erano, in realtà, pochi : “Camicie nere”, “Un pilota ritorna”, “Sentinelle di bronzo”. Gli altri erano legati all'evasione dalla vita quotidiana o proponevano temi religiosi, ma l'eredità più grande proviene, soprattutto, dai documentari. Se ne occupavano quelli che poi sarebbero diventati grandi registi: Bertolucci, Antonioni, Olmi. Nel dopoguerra il Luce s'impegna nel cinema d'autore, producendo i lavori di Cavani, Antonioni, Visconti e Pasolini.
“Felice e orgoglioso" del lavoro fatto Gaetano Blandini, direttore generale Cinema del ministero dei Beni culturali, ed amministratore unico di Cinecittà Holding, che si dice "certo che ne deriverà un'azione essenziale per la valorizzazione del cinema italiano". Membri del Consiglio di Amministrazione sono Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale, Roberto Cadonati, psicologo e Massimo Biasiotti Mogliazza, avvocato esperto in riorganizzazione aziendale. "Cinecittà Luce - sottolinea il neo presidente Cicutto - deve diventare, più ancora che nel passato, uno strumento non solo al servizio di questa industria, ma soprattutto un centro di proposta, razionalizzazione e sviluppo di tutte quelle idee che mettano il cinema italiano in tutti i suoi comparti, al passo con i tempi e all'altezza dell'importanza culturale e industriale che riveste". Con l'atto di fusione "si realizza un obiettivo storico", fa notare ancora Sovena, assicurando che "una grande attenzione sarà dedicata all'ampliamento dell'Archivio Storico che, anche attraverso nuove acquisizioni e nuove alleanze, deve consolidarsi definitivamente nella sua funzione di memoria diffusa e attiva dell'Italia nel XX secolo". Programmi, obiettivi e strategie della nuova Cinecittà Luce verranno presentati nel corso di una conferenza stampa che sarà indetta nel mese di luglio.


Rosaria Petrella

Di reality si può morire. Ecco le vittime della “sindrome del Truman Show”.

7/07/2009 11:42:00 PM Posted In Edit This 0 Comments »


Finisce la stagione televisiva dei vari reality e talent show più seguiti, che hanno invaso i palinsesti di tutte le reti. I vari partecipanti, forti del successo riscosso, si riversano nelle nostre piazze e nei nostri palasport, per essere acclamati come idoli da orde di fan scatenati e godersi la popolarità acquisita. Per tutti, vincitori e vinti, è il momento di iniziare a fare bilanci delle loro esperienze.
E’ indubbio, infatti, che questo nuovo tipo di televisione, apparentemente sempre più ricca di vera competizione e di sano agonismo, può nascondere anche insidie davvero drammatiche, specie per coloro i quali, proprio grazie alla partecipazione più o meno fugace ad un reality, hanno visto stroncare drammaticamente i loro sogni. Dalla realistica illusione di poter vivere sotto ai riflettori e di godersi il successo all’intollerabile ritorno alla normalità, magari dopo la cocente eliminazione più o meno condivisa.
Se pensate che i reality show italiani siano il fenomeno più denigrante degli ultimi dieci anni e che facciano uscire il lato peggiore di chi vi partecipa, all'estero le cose vanno ancora peggio. Oltreoceano di reality si muore. Perchè non si riesce a reggere la delusione di vedersi escluso da un programma televisivo o non si tollera il ritorno all'anonimato. E c'è addirittura chi, travolto dall'ansia dell'imminente apparizione sul piccolo schermo, viene colpito a morte dallo “stress da tv”, prima ancora del debutto.
Non è, però, un fenomeno limitato solo agli Stati Uniti. Secondo un'inchiesta del web magazine hollywoodiano “The Wrap”, tra le undici vittime accertate ci sono anche partecipanti a reality show inglesi, svedesi e indiani.
Per psicologi e psichiatri ci troviamo davanti ad una nuova patologia: “la sindrome del Truman Show”, con riferimento al famoso film con Jim Carrey, in cui il protagonista scopre di essere al centro di un reality show e tutte le persone che fanno parte della sua vita non sono altro che attori. “Lo stress di essere proiettati da una vita normale e perfino banale ad una stella del varietà è immenso” dice Jamie Huysman, psichiatra dell'università della Florida. Una diagnosi forte , che mette sotto accusa quello che sembra essere diventato il valore cardine della società odierna: ovvero il culto della celebrità, l'idea che vivere senza diventare famosi sia come non vivere, la prospettiva che la realtà vera sia quella del reality show.
Il caso più noto è quello di Paula Goodspeed, un ex concorrente di American Idol (format dal quale è stato tratto l'italiano X Factor), che l'11 novembre del 2008, dopo essere stata esclusa dal programma, si è suicidata con un overdose di droghe e farmaci davanti all'abitazione di Paula Abdul, giudice del talent show, che l'aveva strapazzata in diretta decretandone, secondo la vittima l'eliminazione.
Partecipare a Wife Swap, invece, è costato caro all'inglese Simon Foster. Prima ha perso la compagna (che l'ha lasciato per un altro portandosi via i figli), poi la casa e infine il lavoro. E' stato trovato morto imbottito di droghe.
Pochi mesi prima, a migliaia di chilometri di distanza, nel continente indiano, la stessa scelta l'aveva compiuta una ragazza di soli 21 anni, Tania Saha, che si era presentata ai provini del talent show “Fatifati” con in tasca una boccetta di veleno pronta a berlo se fosse stata esclusa. Fu esclusa. Nel 2007 Cheryl Kosewicz,sostituto procuratore di Reno in Nevada, nonché concorrente di Pirate Master (un reality sui pirati che si svolge a bordo di un galeone) si è uccisa dopo essere stata eliminata al televoto, dando l'addio su MySpace.
Anche il ventiseienne Nathan Clutterha deciso di togliersi la vita, lanciandosi dai trenta metri di un'antenna per cellulari, dopo aver partecipato a Paradise hotel 2 (reality dove un gruppo di ragazzi vive in un hotel a 5 stelle e deve resistere alle tentazioni di provocanti cameriere). C'è anche chi, però, ha deciso di farla finita addirittura prima di approdare nel programma dei propri sogni, come Najai Turpin, che si è sparato il giorno di San Valentino del 2005, qualche settimana prima dell'inizio di The Contender, uno show a metà tra reality e un torneo di boxe.
La conclusione a cui sono arrivati gli specialisti è che tutto questo è molto spesso conseguenza delle enormi delusioni paranoiche che può produrre per alcune personalità il vivere un pezzo di vita davanti alle telecamere o magari l'ansia di farlo.
Alcune persone, infatti, subiscono un rapimento quasi maniacale dall’improvvisa popolarità che questi programmi garantiscono, portando a mischiare irrimediabilmente il sogno con la realtà. Ecco, dunque, che, con la fine improvvisa della popolarità, molti ragazzi non riescono più a farsene una ragione, impauriti di sprofondare di nuovo nell’anonimato e nel fallimento.
Tutto questo, spesso, è anche frutto delle aspettative fin troppo eccessive che vengono create dai programmi stessi.
E’ questo il caso, sicuramente meno cruento, ma altrettanto significativo di Susan Boyle, brutto anatroccolo con voce d’angelo rivelazione dell’ultimo Britain got talent, che, dopo l'inaspettata sconfitta in finale, ha dato letteralmente di matto, finendo immediatamente in cura in una clinica psichiatrica londinese.
Ovvie, dunque, le polemiche su questo nuovo tipo di televisione, considerata incapace di tutelare davvero i giovani partecipanti e rea di sfruttarne le potenzialità solo finchè l’audience si impenna. La verità è che questo tipo di programmi possono risultare davvero dannosi solo per coloro che hanno già di natura una personalità non tanto forte e che, quindi, viene materialmente schiacciata in conseguenza delle continue pressioni che queste competizioni televisive incentivano.
Unica cosa utile e logica sarebbe magari quella di affiancare continuamente ai partecipanti degli show gruppi di psicologi, in grado di valutarne le reazioni e,quindi, poter intervenire tempestivamente per scongiurare altre tragedie.
Rosaria Petrella